Il 27 gennaio 1945 vennero abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz. Era la fine dell'olocausto che aveva visto morire milioni di ebrei; ancora oggi non si conosce il numero effettivo delle vittime.
Oggi, nel giorno della memoria, siamo tutti chiamati ad un momento di riflessione su noi stessi, su tutto quello che diamo come scontato, sulla fiducia che abbiamo nel prossimo e soprattutto sui tanti altri stermini avvenuti in passato e ancora in corso a cui si da poca rilevanza e dei quali in generale si sa poco o quasi nulla; pensiamo all'Armenia, alla Cambogia al Ruanda.
Nel giugno del 2009 ho avuto occasione di trascorrere un lungo week-end a Cracovia. Cracovia è stata la capitale della Polonia fino alla fine dell'800, spostata poi a Varsavia. E' anche la città Natale di un dei Papi più amati della storia Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II. Quello che più colpisce di questa città, molto piacevole dal punto di vista architettonico e culturale, è il centro storico medievale che nel 1978 è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità Unesco. Il centro storico accoglie l'università Jagellonian, il Castello di Wawel e una delle più grandi piazze antiche d'Europa. Molto interessante, e di profonda riflessione, anche la visita al quartiere ebraico Kazimierz.
Per fare svagare un po' i bambini abbiamo inserito anche una tappa fuori porta: le miniere di sale di Wieliczka. E' una delle più antiche miniere di sale ancora utilizzata nel mondo. Nel corso della visita attraversando diverse sale, ci si imbatte in diverse figure storiche o rappresentazioni di opere (ad esempio "L'ultima cena" di Leonardo) scolpite direttamente nel sale dai minatori. La visita si conclude nella cappella di Santa Klinga, situata in profondità all'interno della miniera. Anche la miniera di sale è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità Unesco.
Ma torniamo al 27 gennaio e al suo significato, è poi per questo che sono tornata con la memoria a questo week-end nel corso del quale, oltre a visitare una bellissima città, a trascorrere momenti molti sereni e divertenti, abbiamo deciso di fare, insieme ai nostri figli, una visita che ritenevamo dovuta, e cioè una visita ad "Auschwitz" che dista circa sessanta chilometri dall'area metropolitana di Cracovia. L'effetto che questa visita ha avuto su di me, non avrei potuto mai immaginarlo. Ero sicura che sarei rimasta scossa, ero cosciente di andare a visitare un luogo che aveva visto morte, dolore, sofferenza,mancanza di rispetto verso l'uomo, ma la sensazione che ho provato nel varcare l'ormai infelicemente famoso cancello con la scritta "Arbeit macht frei", nel camminare lungo i vialetti, nel vedere i forni crematori, di entrare di una stanza enorme con vetri al posto di mura e al di là di quei vetri vedere centinaia di scarpe, valige, occhiali e
quantità enormi di capelli. La cosa che più mi ha scossa sono state le scarpe; scarpe femminili elegantissime, ti lasciavano immaginare che potevano essere indossate solo da una bella donna, elegante, aristocratica o comunque benestante. Li hanno spogliati di tutto, e non solo dei loro beni materiali, ma della dignità di esseri umani. Ho pianto e non mi vergogno a dirlo; in quel posto respiri l'aria che hanno respirato loro, ti guardano dalle pareti in centinaia, nelle lunghe file di foto, e la quasi totalità di loro è morta lì dopo lunghe e atroci sofferenze contrarie ad ogni logica. Sono contenta di avere visto con i miei occhi; ho sempre letto molto sull'olocausto e ne immaginavo l'orrore, ho visitato questo campo e l'ho sentito scorrere dentro di me, e ancora ho la consapevolezza che non sia nulla quello che ho provato e provo rispetto a quanti hanno vissuto questa esperienza sulla propria pelle.
Concludo questo articolo consigliando un libro sull'argomento a chi fosse interessato ad un punto di vista diverso. E' da poco uscito nelle librerie "Auschwitz. Ero il numero 220543" scritto da Denis Avey. Denis nel corso della seconda guerra mondiale è un soldato inglese che combattendo in Africa, cade prigioniero e viene rinchiuso in diversi campi di prigionia fino a quando viene deportato ad Auschwitz nel campo per prigionieri di guerra (Auschwitz era infatti formato da ben tre campi). Qui si trova a lavorare fianco a fianco con gli ebrei nella costruzione del complesso industriale per una ditta farmaceutica. Da subito si rende conto che per quanto loro patissero la fame e fossero sottoposti a trattamenti paragonabili ad una condizione di schiavitù, non era nulla rispetto a quello che dovevano sopportare i loro compagni lavoratori ebrei. Per una paio di volte riesce a fare cambio con un ebreo ed trascorrere due notti nel loro campo, questo con l'unico desiderio di vedere con i suoi occhi l'orrore e poterlo quindi testimoniare una volta terminata la guerra. Alla fine sopravvive e dopo sessant'anni dal suo ritorno in patria ha finalmente l'opportunità e la forza per raccontare la sua storia a dei giornalisti. Nel corso di questa intervista riceverà anche piacevoli rivelazioni .... ma non vi dico altro per non togliervi la sorpresa almeno delle ultime pagine.
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